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giovedì 6 agosto 2015

Tira Fuori la Lingua - Storie dal Tibet

Titolo originale: Liangchu ni de shetai huo kongkong dangdang
Autore: Ma Jian
1a edizione italiana: 2008
Genere: Racconti


"Tiri fuori la lingua", l'ordine più diffuso e conosciuto al mondo, il fondamento di ogni analisi medica, il mantra del medico di base a cui bambini e uomini grandi e grossi obbediscono solerti assumendo l'imbarazzante e ridicola posa. Siamo lì con la lingua di fuori "aspettando la salvezza", pendiamo dalle labbra del tizio di fronte abbandonando inermi ogni difesa. 
E' così che Ma Jian si sente quando nel 1985 arriva in Tibet con il suo carico di speranza alla ricerca di se stesso nel luogo più spirituale del mondo. Un carico che deve, ben presto, abbandonare. Il Tibet sfata ogni mito, distrugge ogni sogno idilliaco rivelando una verità molto più complessa di qualsiasi fantasticheria idealizzante. Ma Jian viaggiatore cercava un paradiso terrestre, trova un luogo spirituale ed osceno, bellissimo e violento; trova la verità. Da quest'esperienza scaturisce Tira Fuori la Lingua, una raccolta di cinque racconti in cui con un linguaggio lucido e crudo ed uno stile meticoloso, ma mai pedante, l'autore ci parla del Tibet di cui ha fatto esperienza, un Tibet non adatto ai romantici.

Nato nel 1953, Ma Jian fa parte della generazione nata troppo tardi per partecipare alla costruzione del comunismo cinese, ma giovane quanto basta per subirne le tragiche conseguenze. Figlio di un pittore già perseguitato come elemento di destra nelle campagne precedenti, alla fine della Rivoluzione Culturale, Ma diventa parte del movimento umanista e democratico che vede giovani studenti, letterati, artisti riaffermare il diritto alla propria soggettività. E' un periodo di grande fermento e ricerca da parte di giovani che sentono di aver perso se stessi e le proprie radici. Il governo, però si stanca presto e via ad una nuova stretta autoritaria. Denunciato nella Campagna contro l'Inquinamento Spirituale (dell'Occidente, dice il governo), Ma viene arrestato: scontata la condanna comincia il suo lungo peregrinare che nel 1985 lo conduce in Tibet alla ricerca di un sé che ancora non è riuscito a trovare.

E in Tibet Ma Jian arriva con lo stesso sentimento che aveva animato i Romantici nell' '800, quell'esotismo per il quale luoghi e popoli lontani - geograficamente o culturalmente - vengono esaltati ed idealizzati, svilendo, contemporaneamente la cultura e le tradizioni patrie. Il gusto dell'esotico trasforma la fascinazione in adorazione: si ama a prescindere con un atteggiamento di non obiettività verso l'oggetto dell'ammirazione che viene idealizzato. Dall''800 ad oggi l'esotismo ha dominato i rapporti con le culture lontane: da Gauigin a Conrad, a La Mia Africa, agli hippies, i beatnik, a Sette Anni in Tibet, fino alla recente (ed ignorante) fascinazione salviniana per l'ordine e l'armonia in Corea del Nord, tutti hanno subito il fascino dell'esotico e tutti l'anno idealizzato insoddisfatti del mondo moderno e bisognosi, come afferma Ma Jian, di credere che un paradiso terrestre esista.

Animato dalla fascinazione esotica, alla ricerca di spiritualità in un mondo materialista, Ma Jian scopre una terra ben diversa da quella che aveva immaginato: il Tibet di cui fa esperienza è un luogo aspro, segnato da anni di strapotere cinese, ferito nella sua essenza, dove convivono bellezza e degrado, tradizione e modernità, la povertà più assoluta, l'ospitalità, la spiritualità più pura e il disprezzo per lo straniero (cinese), dove non tutti i suoni e gli odori sono piacevoli e dove gli uomini non sono né migliori né peggiori degli altri.
Vuoto e inerme di fronte ad una realtà infinitamente più complessa di quanto potesse immaginare, Ma Jian comprende la fallacia dell'idealizzazione esotica. "Idealizzarli equivale a negare la loro umanità" dirà dei tibetani. 

L'idealizzazione dell'altro, così come la xenofobia, è nemica della conoscenza, poiché permette di vedere solo la superficie delle cose e non le complessità che si annidano al loro interno. Questo è il messaggio che Ma Jian vuole trasmettere con questo testo diretto, senza fronzoli, crudo e bellissimo come solo la realtà dei fatti può essere. Un libro che il governo cinese, impegnato nella sua campagna mediatica mirante a trasformare agli occhi del mondo l'occupazione del Tibet nella sua modernizzazione e gli invasori in benefattori, mette repentinamente all'indice definendolo "volgare ed osceno". 

Oggi Ma Jian vive in Gran Bretagna. Continua a scrivere, ma in Cina i suoi libri sono pubblicati sotto pseudonimo e con forti tagli della censura.

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